Integrazione e cambiamento: due concetti complessi e a volte pericolosi
La parola integrazione è un termine molto abusato quando si parla di cambiamenti organizzativi, di processi d’innovazione, di nuovi scenari per le aziende e quindi mi viene spontaneo chiedere a Lei, che si occupa di persone e di organizzazione aziendale, che cosa è per Lei l’integrazione?
Io credo che sia un concetto potenzialmente molto “pericoloso”, perché c’è il rischio che il solo usare questa parola nell’ambito dei piani industriali, strategici o quant’altro, sia per i board delle aziende sinonimo che poi automaticamente si realizzino nel concreto tutti i processi riconducibili a questo concetto, ma purtroppo non è sempre vero, e spesso, al contrario, l’integrazione rimane una sterile dichiarazione di principio. Per me, affrontare veramente l’integrazione tra due realtà aziendali vuole dire analizzare e classificare i comportamenti, le culture, i modi di essere di tutte le organizzazioni in gioco e stabilirne le differenze e le similitudini, per poi individuare gli strumenti più idonei per favorire un reale e concreto nuovo modo di lavorare insieme tra popolazioni aziendali che avevano idee, cultura e abitudini diverse.
Quindi per Lei il concetto di “integrazione” si lega a quello di “cambiamento”?
Esatto, non volevo dirlo esplicitamente perché, mi pare, che tutti parlino, troppo, di cambiamento e molti dispensino anche, con eccessiva superficialità, ricette magiche su come gestire il cambiamento. Io credo che il cambiamento innanzitutto lo si viva quotidianamente nella vita di tutti i giorni e all’interno delle aziende, nelle quali, in particolare, sono fermamente convinto che coloro che hanno un ruolo manageriale hanno il dovere di utilizzare la loro sensibilità e le proprie capacità per elaborare modelli operativi che guidino e aiutino le persone a “vivere” bene, riducendo i disagi che la frenetica evoluzione, non solo tecnologica, ci impone.
Ci dà un esempio concreto di come Lei si è mosso nel cambiamento e nell’integrazione?
Nel corso del 2017 la nostra Banca ha dovuto affrontare un repentino e importante cambiamento di scenario: ci stavamo preparando per un cambio del sistema informativo e l’abbiamo dovuto abbandonare per intraprendere un’importante processo di acquisizione di altre realtà bancarie di credito cooperativo della regione. Eravamo una media Banca di credito cooperativo, con 400 dipendenti e 45 Filiali in tre province. In pochi mesi siamo diventati la seconda BCC in Italia, con 750 dipendenti e 90 Filiali in 5 province in Emilia Romagna e in Lombardia. Questa accelerazione improvvisa, determinata dalle novità normative e dai nuovi assetti nel sistema, ci ha obbligato a ripensare il nostro agire e a muoverci su un terreno sconosciuto e inesplorato. Ci siamo concentrati sulle persone, abbiamo elaborato un modello di analisi delle loro modalità operative, legate a sistemi informativi differenti, modelli di processo, legati ad abitudini e situazioni consolidate, di comportamento, determinati dalla cultura aziendale, dal contesto e dalle esperienze maturate nel tempo. Queste matrici ci hanno permesso di predisporre un piano formativo di allineamento verso le modalità individuate come più efficienti, previa scelta di quelli individuati come più adeguati tra i processi operativi utilizzati. Voglio sottolineare che questo progetto non è stato calato top-down, ma ha visto il coinvolgimento in ogni processo di gruppi di lavoro rappresentativi dei ruoli (dal Direttore di Filiale all’addetto fidi, allo specialista di Direzione) e sempre facilitati da colleghi dell’Ufficio Organizzazione.
Oltre a questa sfida d’integrazione ne avete affrontate altre?
Siamo partiti da qui per costruire con le persone un terreno comune per la nuova Banca, ove ciascuno, nello stravolgimento della sua attività quotidiana, potesse trovare qualcosa di comune, seppure nuovo e diverso da condividere con gli altri colleghi, ma poi ci siamo confrontati anche con altre tematiche. La mobilità del personale, a cui i colleghi non erano abituati; nelle fusioni abbiamo chiuso tre Direzioni Generali e trasferito parte del personale a Bologna: non potendo eliminare il disagio, abbiamo cercato di ridurlo con un piano di mobilità, totalmente a carico della Banca, che ha compreso la scelta tra l’utilizzo dei mezzi pubblici (treno freccia rossa + autobus) o il car pooling (a gruppi di sette i colleghi hanno in dotazione un veicolo e si autogestiscono nel percorso e nella guida). In pochi mesi, siamo anche riusciti a mettere in piedi un progetto di smart working per consentire ai colleghi che abitano più lontano dalla Direzione, in alcuni casi oltre i 150 km, di potere stare a casa almeno due gironi alla settimana.
Tutte queste iniziative hanno avuto successo?
Inizialmente la diffidenza è stata molta, ma il lavoro lungo e complesso, anche con le Organizzazioni Sindacali, ha dato i suoi frutti e mi piace ricordare come aneddoto, che uno dei primi gruppi di colleghi che aveva scelto di venire a Bologna con il car pooling, aveva costituito una propria chat in WhatsApp denominata “Gli Sbolognati”. Oggi a diversi mesi dalla partenza della nostra nuova realtà, la situazione è decisamente stabile e le persone si sono abituate a gestirsi in questa nuova condizione.
Ma come avete gestito la comunicazione dei cambiamenti, quali canali avete utilizzato?
Il numero delle persone ancora accettabile ci ha consentito di usare lo strumento più efficace: “il dialogo”. Con circa poco più di 120 persone coinvolte nell’analisi, tutta la rete commerciale rimaneva inalterata negli assetti. Per quanto riguardava la definizione del ruolo, delle mansioni e della relativa assegnazione, abbiamo fatto ricorso ai c.d. “colloqui gestionali”, incontri individuali dedicati a verificare aspettative, esigenze, motivazione e competenze. Abbiamo incontrato tre volte ogni collega prima di definire quale fosse la collocazione più idonea nella nuova realtà ed in particolare per scegliere se mantenerlo nello stesso ruolo (o ruolo analogo) o predisporre un percorso di riconversione ad altro ruolo, prevalentemente di natura commerciale/tecnica. Successivamente, abbiamo cominciato l’analisi e il colloquio con tutti i colleghi delle Filiali, sia di quelle acquisite che di quelle storiche, al fine di garantire, anche a loro, la presenza e l’ascolto della Direzione Generale. In questo caso, i colloqui con il responsabile della Filiale e il rispettivo Capo Area avevano il compito di mappare l’assetto della “squadra” e delle esigenze, in funzione degli obiettivi e del potenziale di sviluppo. E così è successo anche nel colloquio con ciascun collega di Filiale. Tale attività è comunque in continua evoluzione e monitoraggio e continuano a susseguirsi le variazioni di collocazione e di ruolo e i percorsi di riconversione o le modifiche al personale di ciascuna Filiale, al fine di garantire il migliore equilibrio possibile di conoscenze e competenze, in funzione della tipologia di clientela, di contesto e obiettivi assegnati.
Ma questa forte impronta gestionale non rischia di produrre su di Lei e i suoi collaboratori un simil effetto “burn out”? Come lo si potrebbe evitare?
La preparazione professionale che ci caratterizza ci mette nelle condizioni di ridurre al minimo questa possibilità. Il coinvolgimento esiste e dipende dal fatto che anche noi siamo “colleghi” e viviamo l’azienda, ma possediamo gli strumenti per affrontare ogni situazione, avendo ben chiaro di dover raggiungere una conciliazione tra le esigenza dell’Azienda e quelle del nostro collega. E poi bisogna imparare a coltivare le altre passioni oltre il lavoro: questo aiuta ad arrivare più sereni e motivati. Io personalmente ritaglio tempo per la cucina, passo tempo a leggere e impratichirmi e per la corsa utilizzo la pausa pranzo per salire sul tapis roulant in palestra.
Come ultima domanda, Le chiedo quali sono le sfide di cambiamento che pensa dovrà affrontare a breve?
Sono tante e faccio fatica ad elencarle, ma se penso a quelle più rilevanti. Mi viene in mente che la Banca come azienda sta cambiando faccia, domani non sarà più quella di oggi e noi dobbiamo lavorare per essere pronti. Con me ho una funzione che abbiamo chiamato “Innovazione” dove i colleghi hanno il mandato di pensare agli strumenti, ai processi e alle modalità della Banca di domani… a quella di oggi ci stiamo già pensando. Un’altra sfida importante è “essere creativi” e cercare di migliorare l’ambiente in cui si lavora. Ho accennato prima che siamo già partiti con lo smart working e stiamo lavorando su altri progetti per migliorare il benessere. Intanto ciò che facciamo lo condividiamo e lo comunichiamo al meglio; infatti abbiamo deciso di dare a ogni progetto anche una connotazione di marketing, con uno slogan e un marchio, in modo che tutti possano individuarli e comprenderli al meglio.
L’ultima sfida che mi viene in mente è quella relativa ai giovani: nella nostra Banca abbiamo solo un 5% di millenial e quindi dobbiamo lavorare per creare ricambio generazionale. A breve dovremo ottenere il via libera per un progetto, di cui non posso svelare il marchio e lo slogan… ma Le assicuro, entrambi bellissimi e ci permetteranno di incrementare il numero dei giovani in azienda, perché come dico sempre, noi siamo la Banca del presente, ma loro saranno la Banca del futuro.
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