Stress lavoro correlato e burnout
Cosa ci dice del concetto di stress e come si configura questa condizione in ambito lavorativo?
Si parla spesso di stress, che pertanto al giorno d’oggi potrebbe apparire un termine abbastanza inflazionato ma è anche vero che sembra effettivamente, in modo ubiquitario, caratterizzare la vita di molti di noi. Con i ritmi a cui ci chiama la società di oggi, lo stress può essere riscontrato in molteplici contesti della nostra vita e accade che molti di noi talvolta si rispecchino nei criteri descrittivi di questo costrutto.
Sappiamo che lo stress si rivela oggetto di attenzione crescente nelle aziende, sia per motivi volti a preservare il benessere soggettivo in questo ambiente, in quanto trascorriamo la maggior parte della giornata impegnati in attività lavorative, sia perché lo stress influisce sul raggiungimento dei risultati di business aziendale in quanto influenza in modo rilevante la produttività dell’individuo che ne è colpito.
Il fenomeno dello stress si riferisce alle reazioni fisiologiche scatenate da eventi potenzialmente stressogeni, che conducono alla cosiddetta general adaptation syndrome (GAS) identificata e descritta da Selye. Anche se la letteratura traccia una distinzione tra componenti di tipo oggettivo e di tipo soggettivo dello stress, dove le prime rappresentano gli specifici elementi della situazione reale e le seconde riflettono il valore e la relativa intensità soggettiva che vengono attribuiti ad un evento, non tutti gli studiosi sembrano concordare rispetto all’utilità di tale prospettiva.
Credo possa rivelarsi interessante però la teorizzazione che ci porta a vedere lo stress come caratterizzato da diversi gradi di ‘attivazione’ psicofisiologica. Come affermato già negli anni ‘60 da Selye, lo stress, se sperimentato a un livello di intensità medio, può costituire un fattore di sostegno alla motivazione individuale. Questa prospettiva ci consente quindi di operare una distinzione tra due forme diverse di stress: l’eustress e il distress.
L’eustress, che si associa a un livello di attivazione medio, si rintraccia nelle situazioni che la persona sente di essere in grado di gestire attingendo alle proprie capacità; l’eustress si associa quindi a una condizione di motivazione e di attivazione propositiva da parte dell’individuo che pertanto può sperimentare la situazione sfidante in quanto opportunità stimolante, di crescita e di sviluppo professionale.
Il distress corrisponde invece a un’attivazione che può risultare rispettivamente troppo elevata, nelle situazioni che la persona ritiene di non essere in grado di affrontare perché superano le sue soglie di tolleranza soggettiva, oppure troppo scarsa, nei contesti che non trova sufficientemente stimolanti e motivanti. Da quanto qui affermato è possibile riconoscere che, quello che nel linguaggio comune solitamente tendiamo a etichettare come ‘stress’, si riferisce in realtà solo alla componente del distress.
Qualora lo stress raggiunga livelli elevati, questo può comportare conseguenze negative diversificate sul benessere psicofisico che possono tradursi a seconda dei casi in una generale sensazione di stanchezza, alterazioni del sonno e dell’appetito, apatia, peggioramento dell’umore, fino allo sviluppo di veri e propri disturbi psicosomatici che possono colpire l’individuo a livello del sistema immunitario o dei diversi apparati dell’organismo. Il vissuto di stress se prolungato nel tempo può associarsi a una riduzione della performance e a sua volta esercitare ripercussioni sul business aziendale, con ricadute che si evidenziano a vari livelli in termini ad esempio di tensioni nei rapporti con colleghi e clienti, errori nello svolgimento delle attività, diminuzione dei livelli di motivazione individuale e della qualità di prodotti e servizi erogati, episodi di infortunio e di assenze per malattia.
Ma quali sono le cause più frequenti di stress sul lavoro?
Diverse sono le cause che possono configurarsi all’origine di una condizione di stress lavorativo, per cui citiamo ad esempio orari, turni, fattori ergonomici, carichi di lavoro e gestione delle urgenze, autonomia nella gestione delle attività, corrispondenza tra competenze individuali e mansioni assegnate, ma anche qualità delle relazioni con colleghi e superiori. A questo possiamo aggiungere vissuti legati a elevato senso di responsabilità e coinvolgimento nel lavoro, tendenza a reagire mediante l’adozione di stili di coping non efficaci e infine scarsa gratificazione percepita in termini di riconoscimento e valorizzazione da parte dell’azienda, in termini ad esempio di feedback positivo e di occasioni di sviluppo di carriera.
Cosa ha in comune il burnout con lo stress lavoro correlato?
Se la condizione di stress lavorativo perdura, si può sviluppare una reazione di burn-out. Quest’ultima consiste in una sindrome spesso riscontrata nelle professioni di ambito sanitario, ma è in realtà una condizione che può riguardare i lavoratori di tutti i settori. La sensazione caratteristica di sfinimento fisico e di esaurimento delle energie emotive necessarie per affrontare il lavoro quotidiano, il senso di inadeguatezza e la condizione di malessere psicofisico possono infatti alla lunga condurre a un vissuto di perdita di significato e a un distanziamento emotivo e mentale da tutto ciò che è associato al proprio ambiente lavorativo.
Il burnout si manifesta tipicamente come un processo che si dispiega attraverso una successione di fasi. In un primo periodo, che può durare anche qualche mese, è possibile che l’individuo affronti inizialmente il lavoro con una disposizione interiore ottimale e che pertanto viva un’esperienza caratterizzata da entusiasmo, motivazione ed energie che lo rendono capace di farsi carico di molte attività, e di dedicarsi a pieno al lavoro. Successivamente, può accadere che la persona inizi a riscontrare un senso di delusione rispetto alle proprie aspettative iniziali; ad esempio, che la promozione o l’aumento di retribuzione tanto sperati, che lo avevano portato a prodigarsi nella prima fase, tardino ad arrivare. Con il prolungarsi di questa condizione di insoddisfazione, nella terza fase possono svilupparsi un senso di frustrazione e risentimento, caratterizzati dalla convinzione di avere dato tanto nel lavoro e di non avere ricevuto alcun riconoscimento per gli sforzi compiuti. A questo punto può accadere che l’individuo, rassegnato all’idea che i risultati attesi non arriveranno e cada in preda a uno stato di malcontento nei confronti dei propri superiori dai quali non si sente gratificato, ma anche di alcuni colleghi che ritiene siano stati oggetto di maggiore riconoscimento; a questo punto, la persona mostra una rilevante riduzione del grado di investimento nel lavoro, manifestando la sua frustrazione mediante un comportamento irritato e scostante con le persone che fanno parte del proprio ambiente lavorativo. Infine, il quarto e ultimo step del processo prevede tipicamente l’esacerbazione dei sintomi del burnout, con la percezione da parte del lavoratore di aver esaurito del tutto le proprie energie a disposizione; pervasa da un senso di rifiuto nei confronti del lavoro, di impotenza e di mancanza di speranze in un possibile miglioramento della sua condizione, la persona cessa ogni tentativo di risoluzione propositiva.
A questo si accompagna un atteggiamento che rivela sempre maggiori aspetti di insicurezza, con una progressiva esacerbazione delle difficoltà relazionali e un conseguente isolamento dal contesto lavorativo, che si riflette poi in generale in un calo della performance lavorativa.
Cosa emerge dall’incontro con persone affette da burnout?
Dall’incontro con le persone che stanno attraversando un periodo di burn-out traspare spesso un vissuto di profondo disagio soggettivo. E’ possibile assistere a un elevato grado di demotivazione che spesso è descritto come un vero e proprio senso di repulsione e di malessere all’idea di tornare in ufficio e di doversi relazionare con clienti o colleghi. Per queste persone si rende in molti casi difficile, o addirittura impossibile, anche solo recarsi al lavoro. L’impedimento a confrontarsi con questa situazione può a volte portare a periodi di assenza per malattia, fino, in alcuni casi, a un’interruzione del rapporto di lavoro. Per questo motivo, in casi estremi, le persone arrivano a rassegnare le proprie dimissioni, a volte addirittura ‘in tronco’ e quindi senza il necessario preavviso previsto da contratto.
La persona che attraversa un periodo di burnout sperimenta uno stato di disagio che si estende spesso anche all’ambito della vita privata, con ripercussioni negative anche in termini di impoverimento a livello di qualità delle relazioni familiari e amicali, delle attività legate allo svago e al tempo libero e in generale di attenzione al benessere e alla cura della persona.
Si può fare qualcosa in termini di prevenzione o intervento nei casi di stress lavorativo e burnout?
Si può cercare di prevenire le condizioni di stress e burnout in diversi modi. Intervenire quando la condizione di malessere si è già sviluppata è ovviamente più complesso e richiede il ricorso a strumenti maggiormente incisivi rispetto a quelli utilizzabili in ambito preventivo, ma è comunque possibile in alcuni casi evidenziare un miglioramento della situazione.
A livello individuale, risulta un fattore protettivo la capacità di preservare una buona qualità della vita in ambito privato, assegnando ad esempio il giusto spazio alle relazioni sociali, ai propri interessi e al benessere psicofisico in generale.
A livello organizzativo, alcuni spunti in tal senso riguardano la possibilità di aumentare il grado di coinvolgimento e la motivazione del lavoratore ad esempio consentendone una maggiore autonomia nella gestione delle attività lavorative e una partecipazione alle decisioni aziendali. Le persone avvertono spesso il bisogno di sentire che stanno procedendo in una direzione di crescita e miglioramento personale e professionale, per cui appare importante gratificare e fare sentire valorizzati i collaboratori mediante la predisposizione di un piano di carriera personalizzato, sostenuto a sua volta da percorsi di valutazione e di sviluppo del potenziale individuale. Infine, quando possibile, può rivelarsi utile prestare attenzione ad eventuali esigenze del collaboratore legate alla gestione di aspetti di vita privata che possono trarre giovamento dal ricorso a strumenti di welfare aziendale o di flessibilità lavorativa.